Mar. Ago 5th, 2025

Un vaso di bronzo scoperto settant’anni fa in un santuario greco a Paestum, nel sud Italia, conteneva un residuo la cui natura ha lasciato perplessi gli scienziati per anni. Grazie a moderne tecniche di analisi, un gruppo di ricerca ha confermato che si tratta di una sostanza probabilmente utilizzata come offerta sacra all’epoca. Il santuario, scavato nel 1954, era situato in un’antica colonia greca vicino a Pompei e risalente al 520 a.C. circa. Al suo interno, gli archeologi hanno rinvenuto diversi recipienti di bronzo accanto a un letto di ferro vuoto. Uno di questi contenitori ospitava una sostanza densa e arancione, la cui composizione esatta non è stata possibile determinare fino ad ora.

Un’offerta sopravvissuta al passare del tempo

Per decenni, diverse analisi hanno scartato l’ipotesi che si trattasse di miele, suggerendo invece che si trattasse di grassi animali o vegetali contaminati. Tuttavia, il team guidato da Luciana da Costa Carvalho, dell’Università di Oxford, ha riesaminato il residuo utilizzando la gascromatografia e la spettrometria di massa, rivelando una firma chimica compatibile con il miele e la cera d’api moderni.

La ricerca ha identificato la presenza di zuccheri semplici come l’esoso e tracce di pappa reale, rafforzando la teoria che il contenuto originale fosse miele liquido. L’acidità rilevata nel residuo è attribuita alla decomposizione degli zuccheri nel corso dei secoli, un processo che ha influito anche sull’interazione con il rame del recipiente.

Il significato rituale e simbolico del miele

Il contesto in cui è stato trovato il vaso (insieme a sei hydriai, due anfore e un letto vuoto) suggerisce che lo spazio avesse un carattere religioso. I ricercatori interpretano l’offerta di miele come un simbolo di immortalità e divinità, elementi associati ad alcune divinità greche.

Il letto vuoto e l’inaccessibilità del santuario indicano che la divinità era presente”, spiegano gli autori dello studio. Questa interpretazione è coerente con gli usi conosciuti del miele nell’antichità, dove veniva utilizzato sia per scopi rituali che medici e cosmetici.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of the American Chemical Society e mette in evidenza come i residui archeologici possano essere ecosistemi chimici complessi. “Studiare questi residui permette di comprendere come queste sostanze si sono evolute nel tempo”, ha sottolineato da Costa Carvalho, che evidenzia la possibilità che queste analisi possano essere utili anche per future ricerche sull’attività microbica antica.