Mar. Ago 5th, 2025

Uno dei maggiori ostacoli per una missione su Marte non è la distanza né il tempo di viaggio. È il carburante. Per inviare una navicella con equipaggio, la NASA stima che sarebbero necessarie decine di tonnellate di propellente criogenico immagazzinato per settimane o mesi. Ma questi liquidi non si comportano come sulla Terra: nel vuoto, esposti al calore e senza gravità, evaporano gradualmente anche se il serbatoio è perfettamente sigillato. Questo fenomeno, noto come boil-off, costringe a rilasciare il gas generato per evitare che la pressione all’interno del serbatoio aumenti pericolosamente. Si tratta di una perdita costante che, in una missione di lunga durata, può comportare lo spreco di decine di tonnellate di carburante nello spazio. Per questo motivo, lo sviluppo di serbatoi in grado di conservare il propellente a una pressione sicura e senza perdite, nota come tecnologia a evaporazione zero, è diventato un requisito tecnico indispensabile per andare oltre l’orbita bassa.

Evaporazione zero: la sfida tecnica che separa l’orbita bassa dal resto del sistema solare

Blue Origin assicura di aver compiuto un passo importante per risolvere questo problema. L’azienda di Jeff Bezos è riuscita a mantenere l’ossigeno e l’idrogeno liquidi in condizioni stabili, senza evaporazione, utilizzando hardware prototipo di volo in test a terra (Blue Origin non ha specificato se si tratta di camere termiche sottovuoto o di banchi convenzionali). Lo ha annunciato Dave Limp, il suo CEO, nell’ambito del programma Lunar Permanence, affermando che tutti gli obiettivi fissati dalla NASA in questo settore sono stati raggiunti.

Il risultato non è da poco: stiamo parlando di conservare l’idrogeno a 20 kelvin e l’ossigeno a 90 kelvin, due temperature estreme, per periodi prolungati. Questo rende Blue Origin, per quanto ne sappiamo, la prima azienda privata a comunicare pubblicamente ed esplicitamente di aver raggiunto una condizione di evaporazione zero nei propellenti criogenici. In attesa che questa tecnologia voli e venga dimostrata in orbita, il risultato raggiunto rappresenta il progresso più tangibile finora verso serbatoi in grado di immagazzinare combustibile liquido senza perdite, un elemento chiave per operare veicoli sulla Luna o su Marte.

Lo stoccaggio di carburante senza perdite nello spazio non è solo una questione di buoni materiali. È una battaglia costante contro la fisica. Anche il miglior isolamento termico finisce per cedere.

Pertanto, la strada verso l’evaporazione zero passa attraverso soluzioni attive che raffreddano il serbatoio dall’interno. La NASA ne ha studiati due: il getto surraffreddato e l’iniezione di microgocce, due metodi che consentono di ridurre la temperatura del vapore e impedire l’aumento della pressione interna.

Blue Origin non ha specificato quale dei due utilizza, ma la logica suggerisce il getto surraffreddato, l’unico metodo testato finora in microgravità dalla NASA. Consiste nel dirigere un getto di liquido molto freddo verso il punto in cui si accumula il vapore. Condensandolo, si evita che la pressione aumenti e non è necessario rilasciare gas.

Si tratta di un sistema tecnologicamente complesso, ma finora è quello che ha dimostrato maggiore efficacia e stabilità in condizioni di prova.

Molto prima che Blue Origin annunciasse il suo progresso, la NASA aveva già testato questi sistemi nello spazio. Il programma ZBOT, implementato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, ha permesso di osservare il comportamento di un serbatoio di propellente in microgravità. Una delle sue principali scoperte è stata che l’interazione tra il getto surraffreddato e il vapore non segue le regole classiche che conosciamo sulla Terra.

In ZBOT-1, non solo è stato possibile controllare la pressione interna con una miscela attiva. Sono stati rilevati anche fenomeni inaspettati come cavitazione, formazione improvvisa di bolle o alterazioni del flusso che potrebbero compromettere la stabilità del sistema.

Queste informazioni, ottenute con sensori, telecamere e sistemi di misurazione laser, sono state utilizzate da diverse aziende, tra cui Blue Origin, per progettare serbatoi in grado di funzionare in modo stabile in ambienti estremi.

Evaporazione zero: la corsa segreta per dominare lo stoccaggio del propellente

SpaceX non ha ancora annunciato una soluzione a evaporazione zero come tale. Ma questo non significa che non ci stia lavorando. In collaborazione con la NASA, l’azienda ha sviluppato un’architettura criogenica orientata alla riduzione dell’evaporazione, che è già stata convalidata in volo. Nel marzo 2025, Starship ha effettuato un trasferimento interno di ossigeno liquido nello spazio, dimostrando di poter spostare il combustibile e controllarne la pressione senza perdite eccessive.

Sebbene SpaceX e Blue Origin stiano affrontando la stessa sfida generale, ovvero immagazzinare propellenti nello spazio senza perdite, non lavorano con gli stessi combustibili né affrontano lo stesso livello di difficoltà termica. SpaceX utilizza metano liquido e ossigeno liquido, mentre Blue Origin lavora con idrogeno liquido e ossigeno liquido.

Questa differenza è fondamentale. L’idrogeno liquido deve essere mantenuto a una temperatura molto più bassa di quella del metano o persino dell’ossigeno. Inoltre, l’idrogeno è meno denso, più soggetto a fughe e molto più difficile da isolare. Raggiungere condizioni di evaporazione zero con l’idrogeno è quindi una sfida tecnica maggiore. Il progresso annunciato da Blue Origin non è significativo solo per il risultato, ma anche per il tipo di combustibile con cui è stato ottenuto.

Quando si parla di andare su Marte, spesso si pensa a razzi, habitat o tute spaziali. Ma uno dei colli di bottiglia più seri è qualcosa di molto più basilare: conservare il carburante. In una missione di lunga durata, il propellente non viene utilizzato tutto in una volta. Deve essere immagazzinato, trasferito e, spesso, mantenuto operativo per settimane senza che vada perso per evaporazione.