Alcuni organismi assicurano che non comporta un rischio immediato. Altri invece chiedono che venga classificato come tossico, soprattutto per il suo impatto sulla riproduzione. L‘acido trifluoroacetico (TFA), una sostanza chimica prodotta dall’uomo, è stato rilevato nella pioggia e nella neve in diverse regioni del pianeta. Questo composto, considerato una delle varianti più semplici dei PFAS, noti anche come sostanze chimiche eterne, sta generando crescente preoccupazione per la sua elevata persistenza nell’ambiente e il suo potenziale impatto sulla salute e sugli ecosistemi.
la sostanza chimica che resiste 50 anni e ora invade acqua, suolo e cibo
Il TFA deriva dai gas fluorurati utilizzati in settori industriali quali la refrigerazione, la produzione farmaceutica o i materiali isolanti. Questi gas, decomponendosi nell’atmosfera, danno origine al TFA, che viene trasportato dalla pioggia nel suolo, nei fiumi, nelle colture e persino negli organismi viventi. Ciò che è allarmante, come spiegato dai ricercatori su Nature, è la sua resistenza alla degradazione e la sua crescente presenza in campioni ambientali raccolti in Europa, Nord America e nell’Oceano Atlantico.
In Germania, le analisi condotte sulla vegetazione forestale rivelano che i livelli di TFA nelle foglie e negli aghi degli alberi sono aumentati di dieci volte dagli anni Ottanta. Inoltre, carote di ghiaccio estratte nell’Artico canadese dimostrano che questa sostanza era già presente nel 1969, molto prima che si diffondesse l’uso di alcuni gas fluorurati. Ciò ha portato gli esperti a ritenere che potrebbero esistere altre fonti di emissione, come farmaci, pesticidi o prodotti di consumo che si degradano nell’ambiente.
Una parte importante del TFA non proviene da processi industriali diretti, ma dalla decomposizione di precursori chimici come pesticidi o gas anestetici, che rilasciano TFA nel corso del tempo. Questo fenomeno moltiplica i punti di ingresso del composto nell’ambiente naturale e ne rende difficile il controllo normativo, soprattutto in ambito europeo.
Impatto sugli organismi e sugli ecosistemi
Sebbene alcuni organismi come l’UNEP sostengano che il TFA non rappresenti un rischio immediato, le agenzie tedesche hanno proposto di classificarlo come tossico per la riproduzione. Questa richiesta si basa su studi condotti su animali, in cui dosi elevate di TFA hanno causato alterazioni nello sviluppo fetale. Sebbene i livelli utilizzati in questi test fossero significativamente superiori a quelli presenti nell’acqua potabile, gli esperti non escludono effetti cumulativi nel tempo.
Inoltre, il TFA ha un comportamento che lo differenzia da altri inquinanti: le piante lo assorbono con l’acqua, ma non lo rilasciano con la traspirazione. Ciò fa sì che il composto rimanga intrappolato al loro interno, con possibili conseguenze per le colture e la biodiversità, specialmente nei terreni agricoli dove il suo accumulo potrebbe ostacolare la crescita vegetale a medio termine.
Mentre paesi come gli Stati Uniti non considerano il TFA un PFAS per la sua struttura molecolare e la facilità di escrezione nell’uomo, gli scienziati europei avvertono che la sua crescente presenza nell’ambiente giustifica la sua inclusione in questa categoria. Le autorità europee hanno avviato una consultazione pubblica, in corso fino al 25 luglio, per valutare se sia necessario rafforzare i controlli su questa sostanza.
La regolamentazione del TFA potrebbe avere conseguenze economiche significative per settori come quello farmaceutico o della refrigerazione, motivo per cui diverse industrie sostengono che esiste TFA di origine naturale. Tuttavia, esperti come Scott Mabury assicurano che non è stato dimostrato alcun meccanismo che ne consenta la formazione naturale in quantità significative, quindi il suo aumento può essere spiegato solo da attività umane.
Al di là dell’origine del TFA, gli scienziati concordano sul fatto che aggiungere ulteriori quantità di questo composto all’atmosfera e agli ecosistemi non è auspicabile. Come sottolinea Mark Hanson, “anche se parte del TFA fosse naturale, ciò non lo rende sicuro né giustifica il suo rilascio nell’ambiente”.